La fata e Taras
La Fata e Taras
di Gianluca Lovreglio
La storia della mia bellissima città, in una fiaba catullo-calviniana, con la colonna sonora di Marley, De Andrè, Battisti, Guccini, Raiz...
Già edita nella raccolta di componimenti dell'associazione Terra delle Gravine in occasione della notte di San Giovanni 2013
I suoi occhi. Particolari. Blu cobalto. Un colore mai visto prima, in una donna. Fu grazie a quegli occhi che Taras si innamorò, perdutamente, e lasciò la sua casa di legno, la sua terra e le sue abitudini di sempre per seguire la sua fata bionda...
Vissero tra le selve costiere dello Jonio, coccolati dal vento, dalle acque limpide che scorrevano accanto alla caverna, e si nutrirono di storie. La fata bionda conosceva migliaia e migliaia di storie, tante quante ne aveva vissute, o ascoltate, o create, nei suoi cinquemila anni trascorsi prima di incontrare Taras il guerriero. Amavano far colazione con storie di eroi, pranzare con le storie della Terra, cenare con le storie d'amore. Talvolta, a merenda o come piccolo spuntino, la fata bionda preparava densissime storie di viaggio, con particolari esotici gustosissimi. Quando Taras aveva un malanno - un raffreddore, magari, o un mal di testa - ecco che subito una storia di mare lo sollevava e lo guariva d'incanto.
Gli occhi blu cobalto s'informavano di nuovi colori, quand'ella - la fata - raccontava le sue storie. E non pensiate che fossero sempre uguali, sempre le stesse, no! Alcune erano condite con spezie leggere, altre piccanti di peperoncino, altre ancora dolci di zucchero e miele. Talvolta le sue storie sapevano di mandorla, talaltra di vaniglia. Quand'era di umore cattivo, la fata preparava storie che sapevano d'aceto, o di frutta acerba, o di sale.
Giunse Taras, stanche e vecchie le membra, all’ultimo albero della sua personale foresta. Fu quel giorno, consapevole d’aver ormai esplorato tutti i sentieri del suo bosco, che chiese alla fata l’ultima storia, la storia d’un luogo, una città.
La fata iniziò a narrare d’un luogo caro più di altri agli dei e alla madre Terra. Circondato dal mare, dapprima un piccolo villaggio di coloni della stessa stirpe del nostro eroe, poi - sempre più grande e più bello - diventa città. Il suo popolo mite esempio di raffinatezze, dedito alla filosofia, all’arte e famosa per la bellezza delle sue donne.
«Fu lì che nacqui», s’interruppe la fata, e aprendo l’eterea veste di bisso celeste, pose se stessa allo sguardo del guerriero morente, che con l’ultima forza del suo animo vitale, avviluppò tra le braccia la sua fata, carezzando mollemente la linea del suo petto, sino a comprendere tra i palmi le forme perfette dei suoi seni, e pose le sue labbra sul suo viso, moltiplicando i baci a mille a mille, d’una dolcezza che parve infinita ai due amanti. Quand’ei la prese pei fianchi, gli occhi della fata divennero cangianti, dei colori dell’arcobaleno, e l’estasi fu per entrambi sublime, a corona gentile del loro perduto amore.
Suonava per loro il vecchio Marley, accompagnando i sussulti d’amore con il lento ritmo dei battiti del cuore. Riprese la fata la sua storia, che narra adesso di greggi ed armenti, d’una immensa statua d’un dio, d’un re greco generoso in battaglia, dei suoi elefanti e del generale colle insegne di lupa che lo sconfisse. Narrò di ville e di vino, di giardini, di teatri, di terme.
Racconta poi di un generale nero, e d’una armata di africani, e d’un altro generale colle insegne di lupa.
Vennero poi genti greche, ed altre arabe di lingua. Narra adesso la fata d’un porto di pescatori, di navi e di un fiorente commercio. «Oui, trés belle» s’ascoltò poi nelle strade della città che vide il natale della fata.
A tali racconti Taras prestava orecchio attentissimo, e parve quasi che l’ombra del suo ultimo albero si stesse allontanando, per tanto nutrimento traesse dai racconti della fata amor suo.
Venne il tramonto. E la fata continuava il racconto. Fu la volta d’una regina in catene, e di genti del paese del Cid, che tennero cara la sua città. Narrò d’un castello, e di mura possenti, d’un canale che ancor oggi meraviglia gli astanti. Si ascoltò poi la lingua di Mozart, tra i suoi vicoli, e poi di nuovo bandiere bianche, rosse e blu adornarono le sue strade, ed un’aria di libertà. Tornarono i napoletani, e subito dopo soltanto un dialetto aspro ma sincero, e la lingua del sì, risuonò per questa terra baciata dagli dei. Nuovi borghi e quartieri abbellirono e ingrandirono la città narrata dalla fata, poi arrivò la fabbrica delle navi, e la tragica guerra degli uomini…
Era ancora molto bella, questa terra, anche quando un cupo duce ne tesseva le sorti, e poi una guerra, di nuovo. La fata s’accinse a raccontare l’ultimo capitolo. Fu il turno del Mostro, un’orribile creatura che screziò per sempre il volto della terra così cara alla fata. E fu proprio mentre narrava della carie nera e del marcio sangue, che il cuore di bimbo di Taras non resse. Si coprì il volto col mantello. Ed il silenzio scese col buio.