Odoardo Voccoli

Odoardo Voccoli, un tarantino, ribelle per la libertà (1877-1963)

testo di Roberto Nistri, per la relazione tenuta per conto dell'ANPi presso il liceo "Archita" di Taranto il 16 febbraio 2017

Odoardo Voccoli, un tarantino, ribelle per la libertà (1877-1963)

L’antropologo Ernesto De Martino diceva che gli uomini hanno fame di simboli e di storie.

Per inciso, proprio in questo periodo, il bravo giornalista Alessandro Leogrande, ex studente del Liceo Archita, sta curando un programma radiofonico sulla terza rete, illustrando le vite di alcuni uomini speciali: quelli che per primi si sono fatti avanti, spendendosi per una generosa utopia.

Ci sono storie di vite speciali: personaggi che, pagando in prima persona , hanno combattuto la sopraffazione e la tirannide, cercando di migliorare l’umana condizione, resistendo, senza mai arretrare di fronte al pericolo, senza mai dimettersi dal mestiere di uomo.

Oggi raccontiamo la bella storia di Odoardo Voccoli, fiero oppositore di fronte alla prima e alla seconda Guerra mondiale. E questo in una città come Taranto, che prosperava in tempo di guerra e si immiseriva in tempo di pace. Nello scenario della grande storia, Odoardo era uno di quelli che non mollavano mai, militando dalla parte giusta, mentre la dittatura nazifascista incendiava il mondo. Ricordiamo questo personaggio che ha vissuto controcorrente, pagando in prima persona, assieme ai suoi familiari con la meravigliosa caparbietà dei sognatori.


Nato a Castellaneta nel 1877, Odoardo era figlio di un impiegato delle Ferrovie, di cultura liberale e mangiapreti , come si diceva nell’epoca risorgimentale. Non mancava un antenato prete , ma iscritto alla Carboneria. Odoardo aveva vissuto una giovinezza felice, correndo a cavallo nel paesaggio omerico di Castellaneta, esplorando terre boscose e grotte profonde, in compagnia di un giovinotto dal nome molto impegnativo, anche lui studente a Taranto: si chiamava Rodolfo Alfonso Raffaele Pierre Filibert Guglielmi che , emigrando a New York, avrebbe continuato a galoppare nella leggenda, con il nome immortale di Rodolfo Valentino. Invece la famiglia di Odoardo si trasferiva al Borgo in via Anfiteatro.


Il padre prendeva a lavorare come contabile in una Farmacia, permettendo così al figliolo di progredire negli Studi Classici presso il Liceo-Ginnasio Archita, con buon profitto fino al conseguimento del diploma.


Per il ragazzo Odoardo, decisamente formativi furono quegli anni, nell’istituto dove si sarebbero addestrate intelligenze vigorose, come lo storico Vito Forleo e l’astrofisico Luigi Ferrajolo. L’idolo di Odoardo rimaneva sempre il liber’uomo Ugo Foscolo: Questo ch’io serbo in sen sacro pugnale, io alzo e grido a l’universo intero…Un Ortis letto essenzialmente in chiave libertaria e anticonformista. Ma, a cambiare per sempre la vita del giovane Voccoli, doveva essere un insegnante di filosofia e cultore di antropologia: Emilio Lovarini: un agguerrito socialista, romagnolo di Cesena, che faceva circolare i testi fondamentali del Socialismo, intrattenendosi spesso con gli allievi, sul “Materialismo storico”.

Stava per aprirsi il secolo nuovo, il Novecento. Odoardo iniziava a lavorare come scritturale presso il Tribunale di Taranto e a 19 anni si iscriveva alla Sezione locale del Partito Socialista.

Nel 1898 in tutta Italia, e anche a Taranto, scoppiavano i moti per il caroviveri, repressi odiosamente da Re Umberto, con cannoneggiamento contro gli affamati.


Nel 1902, Voccoli assisteva al primo grande sciopero dell’Arsenale di Taranto: uno scontro durissimo fra operai e militari con la baionetta in canna. Il territorio veniva completamente militarizzato, con il sopraggiungere, addirittura, di due Corazzate: “Varese” e “Garibaldi”.

Nel 1910, un altro episodio traumatico: i molluschicultori, danneggiati per l’inquinamento delle acque, organizzavano una piccola protesta . Presso la Caserma Rossarol, attuale sede della Università, una improvvisa salva di fucileria, doveva concludersi con un eccidio: tre morti e numerosi feriti. Odoardo ormai, anche fuori di Taranto, era già un dirigente riconosciuto della Camera del lavoro e organizzatore dei portuali. Una figura ormai di primo piano nel movimento, che tuttavia non reputava disdicevo le una capatina al Cafè-chantant.


In un rapporto prefettizio del 1905 si legge: “Non v’ha sciopero o movimento operaio nel quale non sia uno dei promotori”. Uno spirito allegro, ma anche un fiero combattente contro la Camorra, nel “fronte del porto” di Taranto, ma anche di Brindisi. Per la conquista di un onesto lavoro, si doveva anche battagliare a colpi di pistola e di uncini. Organizzando i portuali anche a Savona, Genova e Brindisi, Voccoli aveva conquistato ormai un certo prestigio, ma anche un tenore di vita che gli permetteva di vivere decorosamente in una palazzina di sua proprietà, con la fedele compagna Maria Assunta D’Auria, con i figli Libero Ribelle, Clara Vera Fede, Libertà, Idea Proletaria Vindice e infine, Wservodol Lebedintseff, detto Todol.


Ma, con la fine della guerra e la mancanza di commesse statali, l’ondata di disoccupazione era travolgente. Odoardo doveva affrontare i terribili moti per il caroviveri: la grande prova del fuoco. La la cittadinanza, in assenza di forniture militari, era ridotta alla fame: saccheggi nei mercati, otto cittadini uccisi dalle forze dell’ordine! Un lavoratore morto ammazzato veniva traslato in corteo lungo il ponte girevole. Erano le fiamme del “ Biennio Rosso”: pronto purtroppo a colorarsi di Nero: il cosiddetto diciannovismo! A Taranto si registrava la latitanza di ogni civica istituzione. Con la Camera del Lavoro, Voccoli e i socialisti, senz’altro non colpevoli dello sfascio istituzionale, dovevano farsi carico di una situazione degenerata. I commercianti , in testa i “Grandi Magazzini D’Ammacco”, portavano nelle mani di Odoardo le chiavi dei loro magazzini, sperando di salvare la “roba”. Divampato lo sciopero generale, i cittadini ormai facevano affidamento solo nella Camera del lavoro. Ma in tutta la città, come nel resto del paese, doveva venire anche allo scoperto la grande paura dei padroni e padroncini, che ne volevano vendetta, del Governo e dei politicanti dell’epoca. I facinorosi non mancavano, lo Stato non sembrava in grado di proteggere la proprietà e garantire la sicurezza. I signorotti si decidevano ad allargare i cordoni della borsa, prezzolando squadracce e mazzieri.

Il Regio governo, perpetuamente allo sbando, non era minimamente in grado di prospettare ampie misure riformatrici. Era l’ora siderale dei peggiori farabutti : gli imprenditori della paura.

La regola aurea: seminare il terrore , per candidarsi poi come salvatori della Patria.


Accendere l’incendio e poi travestirsi da pompieri!

Pronto a tutto e capace di niente, Il Re Vittorio, detto Sciaboletta, apriva le porte agli squadristi di Mussolini, scendendo uno ad uno tutti i gradini della indegnità, sino a firmare le vergognose leggi razziali.

Dopo la Marcia su Roma, i fascistissimi fratelli Giusti assalivano La Camera del Lavoro e colpivano con bombe a mano la palazzina di casa Voccoli, in via Cugini… Un primo operaio assassinato doveva essere Raffaele Favia, dei Cantieri Tosi. Il fascista Casavecchia lanciava una bomba verso un gruppo di comunisti e intanto veniva arrestato il Comunista Millardi.

Già nella semiclandestinità Odoardo era delegato a Livorno, nel 1921, partecipando alla fondazione del Partito Comunista d’Italia. Nel 1926 partecipava al Congresso Internazionale a Lione e il 20 giugno veniva arrestato, e così la sua compagna. “Quanto più l’avversario mostra di voler usare la mano pesante, l’ingiustizia fa più grande un’anima libera e fiera”.

Per Voccoli il socialismo non è stato la ballata di una sola estate, la bandiera degli anni verdi.

La ribellione era ormai un imperativo categorico che legava indissolubilmente la battaglia per il lavoro alla rivendicazione dei diritti civili, secondo la lezione liberal-democratica ricevuta dal genitore. Era anche necessario difendere la città proletaria, mantenendo quel piccolo embrione di organizzazione di classe con le cui sorti Odoardo aveva identificato la sua scelta di vita: “ la città “più Rossa” del Mezzogiorno…

Scattavano le leggi speciali e Odoardo veniva condannato a 12 anni e mezzo di carcere duro, tre anni al figlio Todol per la minore età. Il carcerato confortava la compagna Assunta : “Mia adorata e sventurata Assunta, dodici anni sono un po’ troppi, vero? Di una cosa puoi essere sicura, della serenità con la quale ho ascoltato la sentenza. Il primo e migliore giudice è la mia coscienza. I deboli si accasciano. Chi viene colpito per la sua fede non deve impallidire dinanzi alle conseguenze che gli derivano dall’aver troppo amata la sua idea…Spero di essere additato come uomo di carattere, che non piegò mai dinanzi a qualunque avversità…

Anno dopo anno, giorno dopo giorno, ai carcerati veniva sempre offerta quella domanda di Grazia, quel “Pentimento”, che poteva rimettere in sesto tante famiglie sofferenti, considerando che non vi era lavoro per i familiari che non avevano la tessera del Partito.


Ovviamente Voccoli, come altri compagni, rifiutava sdegnosamente qualunque Grazia, guardando con disprezzo il “pentito” che poteva ritornare in famiglia.

Intanto scriveva e organizzava una piccola scuola nel carcere. Quelli come noi, diceva: non mollano mai. Nel ’29 veniva arrestato il figlio Libero Ribelle. Non mollare! Fino all’ultimo giorno, in carcere scriveva i suoi quadernetti, che riusciva a far circolare all’esterno fra i compagni.

Con qualche accorgimento si potevano trasmettere alcune informazioni: Trascriveva per esempio Il Principe di Machiavelli, usando in sostituzione la parola “Partito”.

La famiglia era ridotta alla fame, ma non veniva meno la solidarietà dei compagni ancora in libertà, come il nobile Carducci, che non faceva mancare il suo sostegno.


Per le famiglie dei carcerati, già si attivava il “Soccorso Rosso”, con collette fra i compagni.

Nel 1932, in occasione del Decennale, veniva concessa una amnistia: si celebrava in carcere il matrimonio civile, testimone il nobile Carducci Artenisio Ernesto: buon sostenitore della Causa.

Nel 1934, a seguito della delazione di uno spione dell’OVRA, si tornava in carcere: 4 anni di reclusione per Voccoli e e per i Fratelli Mellone morti in galera.

Una militante di grande rilievo, dirigente del “Soccorso rosso” , si prodigava per alleviare economicamente l’indigenza della perseguitata famiglia Voccoli. Anch’ essa attivista nel primo nucleo storico socialcomunista, era stata condannata pure lei a lunghi anni di carcere, ma rimaneva fiera combattente partigiana fino alla caduta del fascismo. Il suo nome era una bandiera: Antizarina Cavallo. Si trattava di una militante del primo nucleo torinese. Voccoli avrebbe conservato in Archivio il suo ultimo saluto: “Ciao a tutti, compagni miei, continuate a lottare anche per me”.

Una sola ferita non si rimarginò mai nel cuore di Odoardo: la perdita del figlio più sfortunato, quel Wservodol, detto todol, il figlio tubercolotico morto di stenti nella solitudine del carcere. Commuovente il suo ultimo saluto al padre: “ Muoio sicuro di non aver menomato il nome che con fierezza ed orgoglio ho portato. Tuo Todol”. I compagni in libertà riuscivano ad organizzare un funerale clandestino, notturno, fischiettando l’Internazionale con uno striscione sul feretro: “I compagni di Taranto”. Nell’amnistia del Decennale, Odoardo veniva scarcerato, ma il Tribunale Speciale lo condannava per altri quattro anni di reclusione per cospirazione.


Nel ’34, a seguito a seguito della delazione di una spia dell’OVRA, sempre di più erano i compagni carcerati. In effetti si stava stava riorganizzando il fronte Antifascista. Nel marzo del ’34, Odoardo era di nuovo carcerato. Anno dopo anno, un giorno dopo l’altro veniva offerta al prigioniero Voccoli la domanda di grazia, che gli avrebbe spalancato subitamente le porte della libertà.

Ma lui non sarebbe mai uscito a capo chino. Il figlio Libero Ribelle, posto in cella d’isolamento veniva condannato al confino, serbando“cattiva condotta politica”.

Dopo la caduta del fascismo, Odoardo sarà il primo sindaco repubblicano del dopoguerra, unanimamente stimato dai suoi concittadini. Quelli come noi non mollano mai, diceva…

La riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro.

(Umberto Eco)


Per Approfondire: Roberto Nistri e Francesco Voccoli, Sovversivi di Taranto, Sedi Edizioni, Taranto 1987.

Roberto Nistri. 16 febbraio 2017. Relazione ANPI. Liceo “ Archita”. Taranto.