Le pietre del potere
Le pietre del potere
di Gianluca Lovreglio
testo introduttivo ai pannelli della mostra fotografica del 2005: “Le pietre del potere. Medioevo in terra jonica”, a cura dei CC.RR.SS.EE.CC dell’area jonica e dell’Assessorato regionale alla Pubblica istruzione. Inedito a stampa.
Indicato ancora da alcuni manuali scolastici come il periodo che va dalla caduta dell’impero romano alla scoperta dei nuovi mondi, il medioevo è una convenzione cronologica con una sua storia e una sua interpretazione.
La storiografia contemporanea è stata impegnata allo spasimo per rivedere, rettificare, a volte invertire, l’uso che di questo concetto si fa comunemente; ma se nella storiografia e adesso nella manualistica più accorta il concetto di medioevo come età dei secoli bui, come età “feudale” per eccellenza non trova più spazio, il nostro immaginario continua a nutrirsi ancora non del vero medioevo, ma di quello che ci siamo creati artificialmente, dopo secoli di giudizi, ma soprattutto pregiudizi, che prendono le mosse dagli autori umanisti che per primi designarono con questo nome l’età che li aveva preceduti, commettendo l’umano, umanissimo errore di modellizzare un’intera epoca composta da lunghi secoli (dall’VIII al XIV), come esattamente corrispondenti a quel Trecento da essi vissuto e così pieno di sventure (fame, carestia, guerre), da proiettare la sua cupa ombra all’indietro per i secoli anteriori.
Così noi, nipoti di quell’Umanesimo, e figli di quell’Illuminismo che tanto vituperò (vittima anch’esso di tale originale distorsione), quell’età “senza luce”, e di quel Romanticismo che tanto ha contribuito al nostro immaginario, siamo arrivati al punto di rigettare – trascendendolo – il vero medioevo.
Il nostro mito positivo nasce dalla vita di corte, dalle dame e dai cavalieri, dai tornei e dai valori di lealtà e cortesia; al negativo questo ideale ci fornisce immagini oscurantiste, di mancanza di libertà, intolleranza per il diverso, povertà ed ignoranza diffusa per ogni contrada.
Il nostro medioevo è ormai un luogo comune, un “altrove”, come lo ha definito G. Sergi, dove trovano origine e provenienza le forme di vita sociale più lontane dalla nostra contemporaneità. Un altrove dove è possibile rintracciare l’archetipo, spesso oscuro, della nostra “individualità”, delle nostre origini mitiche, nella continua reazione al mondialismo, alla globalizzazione, alla standardizzazione della nostra società. Spesso il medioevo serve a fornire alibi a tutto ciò che non ha motivo di essere nell’epoca che viviamo, dalle diversità “etniche” a presunte differenze culturali all’interno della nostra comune civiltà italica: tutto lì, nel medioevo, persino le insegne politiche.
Al medioevo è pure appiccicata l’etichetta di “età feudale”, di un feudalesimo entrato anch’esso a far parte del mito più che della corretta lettura del passato. La lezione storiografica di un Bloch, di un Pirenne, di un Ganshof, ha ormai distinto con chiarezza l’origine vera dei rapporti di potere tra il signore feudale appartenente al mondo della civiltà agricola latifondista ed i suoi sudditi-contadini, discernendo usi e costumi secolari dal vero e proprio rapporto feudale. La cultura non specialistica, invece, ha continuato ad indicare come “feudale” il mondo spazzato via dall’Illuminismo, in sé fornendone una connotazione “medievale”, un interscambio di termini e simboli tutti coniugati al negativo.
Non sfugge alla modellizzazione anche l’ulteriore definizione di “secoli della religione”, dove per religione intendiamo un sentimento genuino, scevro dal conformismo “borghese” da parte della gente comune o il puro ascetismo del monachesimo, nelle forme che ben conosciamo alle nostre latitudini. Fa da contraltare la magnificenza del clero “dominante”, impegnato in gara colla piccola nobiltà feudale, in battaglie combattute – a volte – anche a “colpi” di pietre messe una sull’altra (non solo cattedrali, ma palazzi e castelli) a significar la gloria terrena dei rappresentanti dell’Altissimo.
La simbologia del castello
Il castello è un simbolo. Il castello rappresenta il potere politico, regio o feudale che sia. Una volta edificato, diventa il centro dell’organizzazione militare e soprattutto del controllo sulla comunità locale. La cittadinanza, occorre ricordarlo ancor oggi, subiva il castello, e non si identificava mai con esso (piuttosto nelle mura e nelle torri). Innumerevoli esempi ci sono in Puglia – anche nella nostra provincia – di assalti e distruzioni dei castelli come arma del popolo contro il signore feudale.
Il castello, di per sé, concretizza un complesso sistema di relazioni politiche, sociali, istituzionali, e riesce a parlarci, con la sua sola collocazione, al centro dell’abitato o ai suoi margini, dei rapporti e dell’integrazione del potere, centrale e locale, coi suoi sudditi.
Ogni città ha il suo castello. Ma cosa rappresenta effettivamente, il castello? I signori (i conti, i marchesi, i vescovi) che ancora nel ‘700 erigono palazzi dal truce aspetto gotico, ricorrono a quest’immaginario medievale per giocare ancora il ruolo del “dominus”, per illudersi di essere ancora la rappresentazione in campo del potere, nella scacchiera del proprio paese, ancora nostalgicamente definito feudo. Così questa classe dirigente che si autoeleggeva nobiltà storica: ancora in tempi recenti continua a costruire palazzi signorili dall’aspetto monumentale, che si ergono tuttora tra le casette a due piani di una piccola borghesia dal sapore contadino. Non lo fa per sottolineare l’importanza del casato, quanto, soprattutto, per giustificare la condizione di privilegio nella quale si trovano ad esercitare un potere retrò, dal vago sapore “medievale”.
Cosa siano oggi quei castelli, quelle residenze, è l’oggetto di ciò che vedremo: il medioevo non si “museizza” come l’età classica, non si conserva una volta per sempre, cristallizzato in una forma da guardare pagando il biglietto. Del medioevo “non si butta via niente”: ecco allora – accanto ai castelli-residenze – castelli-sedi comunali, castelli-sportelli bancari, castelli-contenitori culturali, persino castelli-ristorante. Il medioevo non è mai terminato. Ci accompagna da sempre nella nostra presunta contemporaneità.