Ma Taranto ha più di Sparta. Il mito ambivalente della storia
Ma Taranto ha più di Sparta. Il mito ambivalente della storia
di Alessandro Leogrande
in: Corriere del Mezzogiorno - 21 novembre 2014
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Scrive Luciano Canfora che all'Università di Monaco di Baviera, per il 2 maggio 1945, era stata indetta da Helmut Berve, professore di storia antica, una grande conferenza pubblica sul mito di Sparta. L'incontro non si tenne per cause di forza maggiore: il Reich millenario crollò proprio in quei giorni. Eppure Hitler aveva sempre coltivato il mito di Sparta come «il più luminoso esempio, nella storia umana, di Stato a base razziale», un vero e proprio modello per il Terzo Reich che voleva preservare la propria purezza sterminando ebrei, zingari, slavi ...
Per la verità, il mito di Sparta non è stato alimentato solo dal nazismo. Anche per Mably, maestro di Robespierre, Sparta era un esempio, ma questa volta in senso rigidamente comunitario. Insomma, si può dire con Constant che nei secoli Sparta abbia sedotto chiunque, proprio come Mably, «detestava la libertà individuale come si detesta un nemico personale». Per questo sorprende un po' sentire il ministro della Cultura Dario Franceschini affermare non solo che Taranto sia «l'unica città spartana del mondo», ma che sull'esaltazione di tal passato dai contorni imprecisati debba puntare tutto per la sua rinascita. Perché? Perché «Sparta», ha sottolineato il ministro, «è un brand che nel mondo ha un successo incredibile. Investire su questo deposito di memoria è anche una grande carta nella competitività del turismo mondiale».
Ora, a parte il fatto che Taranto fu fondata da coloni espulsi da Sparta (espulsi, cioè, proprio da quel mondo chiuso che ogni totalitarismo successivo avrebbe voluto riedificare pietra su pietra), l'affermazione del ministro pone davanti a un bivio. O si mette tra parentesi ciò che Sparta è realmente stata, un regime militare-autoritario che sempre Canfora non esita a definire terroristico, e si riduce quindi il passato a pura plastica, brand pubblicitario per una imprecisata strategia turistica.
Ma non si capisce, a questo punto, perché tra tutti gli elementi di storia reale che Taranto può riconsiderare ci si debba rifare proprio a una sorta di genesi edulcorata. Oppure quel passato, e i miti che ha generato, vanno seriamente presi in considerazione. E allora non si capisce perché una città che vuole collocarsi nel XXI secolo debba rinchiudersi dietro mura tanto grigie e asfittiche. È meritorio il tentativo di pensare a una via d'uscita dalle secche della crisi industriale nel segno della cultura. Tuttavia un conto è pensare al MarTa come epicentro di una azione più vasta. Altro è rispolverare il mito ambivalente di Sparta.
Perché non pensare invece a tutte le epoche storiche che la città ha attraversato? E perché, al posto di un'identità guerriera, non pensare a ciò che Taranto è stata fin dalla Magna Grecia, un punto di incontro tra Oriente e Occidente?