Il liceo Archita di Taranto

Il liceo Archita di Taranto

Di Adolfo Mele

Breve sintesi della storia del glorioso liceo classico "Archita" di Taranto, a cura di uno dei suoi docenti più ilustri, il prof. Adolfo Mele.

Il Liceo "Archita" di Taranto

Il Liceo Ginnasio "Archita" sorse nel 1872 come istituzione scolastica comunale e divenne Regio Liceo-Ginnasio con annesso Convitto nel 1899; da quella data, salvo brevi parentesi belliche, è ospitato nel Palazzo degli Uffici, in locali ottenuti dalla sopraelevazione del vecchio Orfanotrofio per i figli di militari deceduti, istituito dai Borboni alla fine del '700; questo storico edificio, dichiarato bene culturale e sotto vincolo della Soprintendenza ai beni A.A. C.C. di Bari, ha con i suoi lati dettato l'orientamento del reticolato viario del Borgo, mentre sul prolungamento del suo asse è stato successivamente posto il ponte girevole, tagliando l'ultimo torrione nord del Castello Aragonese.

Il primo regio preside del liceo "Archita" fu un italiano irredento, il trentino Dal Lago, tra l'altro benemerito studioso della stazione neolitica di Scoglio del Tonno.

La Biblioteca dell' "Archita"

Tra le altre dotazioni di cui il Liceo "Archita" è fornito c'è la biblioteca, ricca di circa 10.000 volumi e annate di riviste, che vi si sono raccolti nel corso della storia dell'Istituto.

Contiene testi editi in questo suo secolo di vita, ma ha attinto anche al mercato antiquario (con una libreria di Pistoia, nel 1895, aveva un conto aperto di £ 79,50, i cui ultimi due acquisti, due testi del 1684 e del 1719, costavano £ 2): tale mercato era attivo nel '800 e nel Sud già con la confisca dei beni ecclesiastici sotto i Borboni (1818) e soprattutto dopo l'Unità d'Italia.

In questa biblioteca nessun campo di studio, nessuna materia d'insegnamento è trascurata: ai testi classici e letterari si affiancano raccolte di documenti, collane di riproduzioni di monumenti ed opere d'arte, trattati di scienze naturali ed applicate, volumi sull'attività sportiva e le Olimpiadi moderne, opere di didattica; ai classici italiani, latini e greci, si affiancano testi in lingua straniera (inglese, francese, tedesco, spagnolo), testi sanscriti, opere delle più diverse letterature tradotte in italiano (o in altro idioma più accessibile dell'originale); accanto a trattati impegnativi e ponderosi contiene anche testi divulgativi e accessibili agli allievi.

Molto ampia è anche la scelta dei periodici, con raccolte spesso complete, di prestigiose pubblicazioni e riviste. Non pochi sono i testi rari, tra cui alcune cinquecentine ("Rime e prose" di Mons. Giovanni Della Casa, 1564; la "Historia d'Italia" di F. Guicciardini, del 1599; gli "Historiae Mundi libri XXXVII" di Plinio il Vecchio a cura del Dalechampius del 1587; di Procopio di Cesarea, volgarizzati, le guerre gotica, vandalica e persiane e lo scritto "De gli edifici di Giustiniano imperatore" del 1544 -1547; i Commenti dello Scaligero al De causis plantarum di Teofrasto e al De plantis dello pseudo-Aristotele, del 1566; la traduzione latina, del 1564, delle voci storiche e antiquarie della raccolta bizantina Suida).

Possiede inoltre, pressoché completa, la raccolta dei Rerum Italicarum Scriptores (R.S.I.), dovuta a L. A. Muratori (edizione a cura di G. Carducci); le opere "minori" dello steso Muratori; la raccolta dei classici latini delle edizioni Pomba (inizio 1800) di Torino; la serie quasi completa delle pubblicazioni della Società di Storia Patria per la Puglia; i discorsi parlamentari di C. Cavour; scritti del Ricasoli; ampie raccolte di Documenti diplomatici italiani; le opere complete di Campanella, Hume, Metastasio, Hegel, Gioberti, Rosmini, Croce. Molti i lavori di storia e cultura locale e di studiosi della questione meridionale. Ultimamente si sta incrementando la dotazione di studi, opere e strumenti di documentazione sulla cultura del '900. E' in corso il riordino integrale e l'informatizzazione della biblioteca.

Il codice architiano "Diplomi dei Principi di Taranto".

Tra gli altri pregevoli testi della biblioteca del Liceo "Archita" spicca un codice manoscritto, che reca sul dorso ottocentesco il titolo "Diplomi dei Principi di Taranto".

E' un codice in quarto di 263 fogli (cioè di 526 pagine), scritto da almeno due mani, la prima attiva dopo il 1535 e la seconda (o, se più, l'ultima) non prima del 1604.

Nel 1930 il Preside Pasquale Ridola lo acquistò "da uno sconosciuto" e da allora è entrato nella biblioteca del Liceo "Archita"; è di solito perciò chiamato codice architiano.

Ai veri e propri "Diplomi dei Principi di Taranto" cui si riferisce il titolo (i primi 30) ne seguono altri 14 di Sovrani aragonesi di Napoli e uno dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo, tutti in ordine cronologico, dal primo (di Filippo d'Angiò, aprile 1330) all'ultimo (di Carlo V, dicembre 1535).

Gli altri 45 documenti non sono in ordine cronologico e sono datati dal 3 gennaio 1471 al più presto e fino al giugno 1604, tranne l'ultimo (il più antico) del 1452 che ne contiene un altro del 1434 al suo interno. Questi documenti sono lettere, memoriali, suppliche, istrumenti concessioni, bandi, sentenze, arbitrati, etc. Tra gli altri è particolarmente interessante uno schizzo topografico del Fosso (oggi Canale navigabile) che circondava l'antico Castello.

Il nostro codice è copia (probabilmente non integrale) del perduto Libro Rosso della città di Taranto, cioè della raccolta delle copie autentiche dei privilegi e delle lettere concessi da Principi o Sovrani alla Università (cioè comunità cittadina) di Taranto (sono conservati, ricchi di miniature, stemmi e sigilli, i Libri Rossi di Palermo e di Lecce, ad esempio).

Prima che l'ultimo Principe di Taranto, Giovanni Antonio Del Balzo - Orsini, morisse nel 1462, un Libro Rosso di Taranto era stato già raccolto e organizzato: ma si è perso ed è il nostro codice dell'Archita che lo sostituisce, come fonte e testimone di conoscenze e dati storici e istituzionali. Dal codice architiano poi, forse nel 1 700, è stato copiato (con alcuni salti e - forse - varianti) un codice della Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, intitolato "Privilegi della città di Taranto" (Bibl. Naz. NA - ms. XIV - A - 26).

La storia del Principato di Taranto nominalmente inizia con Boemondo I nel 1105, di fatto e di diritto nel 1294 con gli Angioini e termina - come si è detto - nel 1462, quando Taranto divenne città del regio demanio.

La massima estensione di questo "Stato nello Stato" fu tra Roseto Capo Spulico (CS), Barletta (BA) e Acerra e Marigliano (NA); sempre esso fu collegato all'Oriente: ad Antiochia di Siria, all'Impero Latino di Oriente, all'Albania, a Corfù e Cefalonia, all'Etolia e Acarnania, all'Acaia; in Italia, oltre a Taranto, le sue città più importanti furono Conversano, Galatina, Lecce; originali e interessanti furono le forme della cultura (greca, latina e volgare), dell'arte e delle scienze che in esso si produssero.

A partire, 700 anni fa, dagli Angioini e poi fino agli Aragonesi e al dominio spagnolo, nel nostro codice architiano si può seguire, non in tutti i particolari, ma in modo abbastanza continuato, la storia di Taranto e di riflesso del suo Principato e del Sud in genere, specialmente per gli aspetti istituzionali e socioeconomici.

Favoriti dalla debolezza del potere centrale, specie sotto gli Angioini, si verificarono una ricerca, anche in Taranto, di maggiore libertà di movimento e commercio dei sudditi e poi anche l'organizzarsi di consorterie, sedili dei nobili, arti e corporazioni, università, che - strani "comuni" meridionali - vivono forti dei privilegi che ottengono da Principi e Re, ma ne chiedono sempre la convalida e dimostrano una notevole litigiosità al loro interno e con le comunità vicine, con cui vogliono commerciare, ma su cui vogliono primeggiare.

Finito il Principato, le sue campagne si impoverirono e spopolarono, vi si diffuse la pastorizia, si ridussero le colture, i commerci e i rapporti internazionali, le sue coste, da Barletta a Monopoli, furono sotto influenza o occupazione veneziana; poi vi sbarcarono i Turchi a saccheggiare Otranto (nel 1480) e infine tutto fu regolato da lontano, da Napoli o da Madrid.

I documenti del codice architiano parlano soprattutto di Taranto e - sullo sfondo storico delineato - informano su autonomie locali, tasse, esenzioni; su truppe acquartierate, confini, istigazioni militari; su pascoli, pesca, appalti e chiuse, mercati e fiere; nominano preti e chiese; nobili, popolani, schiavi; cristiani e giudei, latini e greci, stranieri e residenti; e ci fanno così cogliere alcuni vividi sprazzi di un mondo non tutto nero e non tutto luminoso.

Al valore storico poi si aggiunge quello linguistico: i documenti sono in latino (basso, oppure umanistico) e in italiano, con notevoli forme e strutture di volgare e con un lessico interessante e ricco di numerosi forestierismi (specie francesi e spagnoli).

Diverso dal "Libro Rosso della Città di Taranto", documentato dal codice architiano è il "Libro Rosso della Dogana di Taranto (il codice dell'Archita dichiara, al foglio 238 r., di aver trascritto da esso un bando del 1489: questa altra raccolta - anch'essa perduta, ma attestata dal 1543 - conteneva consuetudini, norme e disposizioni relative alla pesca e alle attività marittime: ne sopravvivono tre copie: una a Lecce, le altre a Taranto, alla Biblioteca arcivescovile e alla civica biblioteca "Acclavio" (detta, quest'ultima, codice acclaviano).

Adolfo Mele
(tratto dalla guida "centro commerciale Il Borgo", Taranto gennaio 1998).