L'eroismo delle tarantine nella lotta al fascismo
L'eroismo delle tarantine nella lotta al fascismo
di Mario Gianfrate
in: Corriere del Giorno - Domenica 7 marzo 2010 p. 30
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Si è poco indagato – o non a sufficienza, almeno - sulle figure femminili che hanno partecipato – e non sempre o quasi mai in ruoli marginali - alla lotta sorda, sotterranea, soffocata negli anni della dittatura fascista. Ci sono state donne che hanno fornito un apporto essenziale alle ragioni della libertà; si tratta per lo più di donne del popolo che, per la loro scelta di un riscatto dalla schiavitù fascista hanno pagato un alto prezzo in termini di sacrifici, di umiliazioni, di restrizione della libertà personale. Perché la vicenda umana e politica di questa piccole eroine non sia inghiottita dalla spirale del l’oblio, è opportuno – ma anche doveroso – nella giornata dedicata alle donne, rievocarne la storia sulla base dei pochi ma significativi elementi disponibili.
Nella Taranto del primo fascismo è una ragazza appena ventenne che svolge un’attiva propaganda comunista tra le donne e i giovani in particolare. Si chiama Elisabetta Alfeo, nativa di Ginosa ma trasferitasi nella città capoluogo dopo aver contratto matrimonio con Francesco Naparo, un fruttivendolo già diffidato dalla polizia fascista. Elisabetta, figlia di madre ignota – è stata riconosciuta figlia naturale dal solo padre Luigi Ricciardi – è analfabeta ma ciò non le impedisce di diventare la fiduciaria del partito comunista nell’agro tarantino. Il suo è un impegno totalizzante: in costante contatto con i capi sovversivi, si distingue nella raccolta di sottoscrizioni a favore della stampa comunista ma, soprattutto, delle le famiglie dei detenuti politici cadute, in seguito all’arresto dei propri congiunti, nella miseria più nera. L’attività “eversiva” di Elisabetta – peraltro tenuta sotto controllo dalla polizia – non può passare inosservata: viene arrestata il 18 novembre 1926 – a pochi giorni dall’entrata in vigore delle “leggi eccezionali” e della istituzione del Tribunale Speciale per sopprimere l’opposizione al fascismo – in esecuzione di condanna della Commissione Provinciale di Taranto e assegnata al confino per anni cinque. Lampedusa, Trebisacce e Nuoro sono le sedi delle colonie che “ospitano” Elisabetta e dove la ragazza si ammala. Proprio per motivi di salute viene liberata il 10 maggio del ’29 e la pena le è commutata in ammonizione.
Insieme a lei era stato anche arrestato e confinato a Lampedusa per gli stessi reati Cataldo Alfeo, carbonaio muratore, licenziato dall’Arsenale nel 1923 e probabile fratello di Elisabetta. La CP di Taranto, con ordinanza del 18.11.1926 – lo stesso giorno, quindi, della condanna di Elisabetta Alfeo – assegna al confino anche Candelora Carmignano, una sartina di ventidue anni nata in Brasile. E’ destinata al confino di Ustica e, poi, di Corleto Perticara.
Candelora è sorella di Consiglio e Nicola Carmignano entrambi detenuti per “delitti contro i poteri dello Stato”. Anche lei è imputata di condotta sovversiva svolgendo attività di propaganda antifascista e di raccolta fondi per i giornali di opposizione. Al confino ci resterà un anno, un mese e cinque giorni. Viene, infatti, liberata qualche giorno prima di Natale, il 22 dicembre 1927 “per commutazione in ammonizione del periodo residuale”. Al confino viene assegnata, anche, nell’agosto del 1940, Rosaria Delli Santi, una contadina di Leporano di idee contrarie al regime. Al momento dell’arresto – avvenuto perché aveva “invitato il figlio di una vicina di casa e altri ragazzi a smettere di cantare un inno fascista e per aver pronunziato frasi oltraggiose nei riguardi del Duce”, Rosaria ha 55 anni. Assegnata al confino, trascorre in carcere solo 26 giorni in quanto la condanna viene modificata in diffida. Se la cava con la sola ammonizione Assunta D’Auria, nata a Gragnano, in provincia di Napoli, ma residente a Taranto. La pena le viene inflitta con ordinanza della CP tarantina il 10 dicembre 1926 senza tuttavia farla desistere dal suo impegno militante. Arrestata in Roma il 27 maggio 1928 perché indiziata di far parte di una organizzazione comunista e tradotta a Taranto, viene proposta dal Tribunale Speciale per il confino. Il 16 agosto dello stesso anno però, la prefettura rigetta la proposta perché sussistevano elementi di dubbio sul ricorso a tale provvedimento. Convivente e sposa poi del noto sovversivo Edoardo Voccoli e madre del confinato Ribelle Libero, benché nel ’28 cessa di essere sottoposta ai vincoli del monito, continua a tenere i contatti con i suoi compagni di fede e a svolgere attività contraria al regime. Altre donne condannate dal Tribunale Speciale, la tarantina Maria Luisa Ranieri, una sartina licenziata dal lavoro perché ritenuta una “irriducibile comunista”, ammonita nel dicembre 1926 e vigilata ancora nel 1942; Rosa Caputo di Monteparano, condannata nel marzo 1931 a 6 mesi di reclusione e a 500 lire di multa per offese al capo del governo; Lucia Coretti casalinga di Taranto ammonita nel marzo del 1939 per lo stesso motivo, come Maria Macripo nativa di Fragagnano ma residente a Valenzano; Maria Bonfrate di Grottaglie, domestica, ammonita nel novembre 1939 per aver scritto una lettera offensiva per il capo del governo; Maria Ugenti di Massafra e, infine, Rosa Galeandro di Taranto.