I gravi tumulti di Taranto per l'aumento dei prezzi nel 1919

I gravi tumulti di Taranto per l'aumento dei prezzi nel 1919

di Mario Gianfrate

in: "Corriere del Giorno", domenica 5 luglio 2009, p. 27

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La crisi aperta dalla conclusione del conflitto mondiale, si riflette sulla economia del Paese che, a causa degli ingenti sforzi finanziari sostenuti per far fronte alle esigenze belliche, sarà investito inesorabilmente da un processo inflazionistico, con effetti devastanti sull’occupazione e sulla crescita del costo della vita. L’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni di largo consumo e la conseguente riduzione del potere d’acquisto della moneta, la mancanza di lavoro e, quindi, lo stato di inquietudine e di incertezza sul futuro dei reduci appena tornati dal fronte, danno luogo, nell’estate del 1919, a una serie di agitazioni contro il carovita promosse dal partito socialista.

Gravi tumulti si verificano a Taranto il 6 luglio, in seguito alla proclamazione dello sciopero generale indetto dalla Camera del Lavoro. Preceduto da una lunga sequenza di cortei e dimostrazioni che si sono protratte per sei mesi, lo sciopero si è reso necessario per l’incapacità dell’Amministrazione Comunale della quale è sindaco Francesco Troilo – che si dimetterà – di dare adeguate risposte alla protesta, ma, anche per il rifiuto opposto dal sottoprefetto di ridurre del 50% il prezzo dei beni di primaria necessità. La situazione alimentare nella città jonica è drammatica: per effetto della speculazione mancano carne, riso e petrolio; scarso è, addirittura, il pesce mentre il pane, distribuito in quantità limitata, è di scadente qualità.

Ciò perché Luigi Candido De Matteo, titolare dell’omonimo mulino, immette sul mercato – ma non sarà il solo – farina adulterata. La popolazione, esasperata dai prezzi proibitivi dei prodotti indispensabili e, oltretutto, introvabili, assalta i negozi e i magazzini devastandoli e saccheggiandoli.

I primi incidenti si sviluppano al mercato coperto dove alcuni operai acquistano delle uova pagandole con il ribasso del 50% sul prezzo corrente. Il tentativo si ripete nei confronti di un macellaio che però, estratta una pistola, oppone resistenza. Viene, però, disarmato. Quindi la folla, tra cui moltissime donne e ragazzi, danno l’assalto ai negozi. In alcuni casi i commercianti applicano immediatamente il ribasso richiesto sulla vendita dei generi alimentari; in altri si recano essi stessi alla Camera del Lavoro consegnando le chiavi dei propri magazzini ai dirigenti sindacali.

I quali, come evidenzia la Colarizi – “Dopoguerra e fascismo in Puglia”, Laterza, Roma- Bari 1977 – si trovano impreparati a gestire la spontaneità del fenomeno e, di fronte alle degenerazioni ne prendono le distanze. In effetti il Consiglio dei sindacati tarantini, convocato d’urgenza, si preoccupa della piega che gli avvenimenti stanno assumendo e tenta di ricondurre la protesta in un alveo legalitario. Ma a questo punto la polizia, rimasta inoperosa fino a quel momento, interviene bruscamente – e inopportunamente – operando decine di arresti tra operai e dirigenti sindacali. I moti riprendono l’indomani 7 luglio, lunedì. Il sopraggiungere di imponenti contingenti di poliziotti e carabinieri, dà luogo a violenti scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine che fanno uso delle armi.

Durissimi quelli nella città vecchia: gli abitanti dei vicoli, di Via Garibaldi e di Via Mezzo si difendono come possono, lanciando sassi e grossi vasi di argilla dalle finestre contro poliziotti e carabinieri che hanno piazzato per le strade nidi di mitragliatrici.

Alla fine della giornata, a terra restano i corpi senza vita di quattro dimostranti, mentre tantissimi sono i feriti. Per una più dettagliata ricostruzione degli avvenimenti si rimanda a: Florindo Lemma, "Un secolo di lotte – L’Arsenale di Taranto tra cronaca e storia”, Edizioni Dal Sud, Bari 1981. Vedi, anche: Michele Magno, “Galantuomini e Proletari in Puglia”, Bastogi, Roma 1984. Neppure il tragico eccidio fermerà la protesta: lo sciopero perdurerà ancora per altri dodici giorni e terminerà soltanto quando verranno rilasciati e rimessi in libertà i capi dei subbugli Odoardo Voccoli e Innocente Cicala.

Il proletariato, in tale occasione, dà dimostrazione della propria forza ma suscita inevitabilmente la reazione delle classi dominanti. Per il momento, il sottoprefetto, in una riservata al Ministero dell’Interno datata 9.8.1919, avanza richiesta di trasferimento di “alcuni arsenalotti e ferrovieri..., che per le loro idee rivoluzionarie e bolsceviche rappresentano un elemento pericoloso per l’ordine pubblico, esercitando essi un’attiva costante e deleteria propaganda tra i compagni di lavoro e cittadini, i quali vengono incitati alla rivolta contro i poteri dello Stato”.