Accoglienza profughi Trieste

L'accoglienza tarantina ai profughi di Trieste

di Ornella Valeria Sapio

Recupero una interessante pagina di storia locale a firma di Ornella Sapio, apparsa sulle colonne del Corriere del Giorno di mercoledì 10 febbraio 2010, a p. 27.

Il 5 maggio 1945 il Sindaco di Taranto, Ciro Drago, insieme all’intera giunta municipale, riuniti in assise, espressero commozione e indignazione per la situazione creatasi in Trieste italiana, liberata dai nazifascisti dall’esercito iugoslavo dei partigiani di Tito ma da questi occupata militarmente con pretese di annessione. Convinti che tali inconsulte aspirazioni non fossero giustificabili anzi contrarie con l’idea di libertà e pace con giustizia, chiesero al Prefetto di far giungere al Governo Centrale i voti calorosi dell’intera comunità tarantina perché l’italianità di Trieste fosse riconosciuta. Non sarà così: … per quasi dieci lunghi anni Trieste vivrà staccata dalla madrepatria Italia. Il Governo militare insediato il 1° maggio dai Titini, senza il consenso alleato, avrà vita breve (40 giorni) ma sarà devastante, connotato da una repressione brutale e sistematica: numerosi gli arresti, le deportazioni, le esecuzioni di massa; ogni potenziale avversario del comunismo venne etichettato fascista e quindi giustiziato, i cadaveri gettati senza pietà in fosse comuni dei valloni carsici “le foibe”; vennero smantellate le precedenti strutture istituzionali e politiche non solo fasciste ma anche italiane, le strade perennemente pattugliate seminando terrore, organizzate pompose manifestazioni filo-slave a sostegno del progetto di annessione. Il 9 giugno, a seguito di forti pressioni anche sovietiche e di delicate trattative diplomatiche, si giunse ad un accordo tra Tito e gli angloamericani: la zona A, comprendente tutta la Venezia Giulia (Trieste e la fascia costiera occidentale), passava sotto il controllo britannico; la zona B, costituita dal resto della regione ad est della “linea Morgan” (Capodistria), si poneva sotto il controllo Iugoslavo. Per sfuggire a tanta sciagura e non restare al soldo dell’usurpatore slavo, una nutrita schiera di donne e bambini, vecchi e uomini, abbandonata la propria terra e la propria casa ed ogni bene, folle di spavento si unì a quella enorme massa di profughi delle zone di guerra che erravano per le vie dell’Italia liberata, tutti soverchiati dalla tragica consapevolezza della loro sventura, in cerca di aiuto e solidarietà. Nel porto di Taranto, a partire dal 1945 e fino a tutto il 1947, continui furono gli sbarchi di profughi provenienti dall’Algeria, Iugoslavia, Dalmazia ed Egeo e di più di 9.000 prigionieri, spesso nostri connazionali che avevano combattuto per la patria e che catturati dagli inglesi, con motivazioni diverse vennero, giunti a Taranto, internati nel campo di prigionia “S. Andrea” sito sulle rive del Mar Piccolo. Abbiamo traccia, ad esempio, di circa 3.557 prigionieri italiani, provenienti dall’Algeria a bordo del piroscafo inglese Strathnird, giunti nel nostro porto il 7 febbraio 1946; circa 5.000 prigionieri a bordo del transatlantico inglese Mauritania sbarcheranno il 23 aprile; 800 reduci provenienti dalla Iugoslavia arriveranno il 30 novembre da Ancona mentre sempre provenienti dalla Iugoslavia giungeranno da Bari circa 380 prigionieri italiani; numerosi altri arrivi di piroscafi e navi saranno registrati nel nostro porto. Calda l’accoglienza del popolo tarantino nei confronti di prigionieri, profughi e rimpatriati, malgrado le difficili condizioni in cui versava la città nell’immediato dopoguerra. Stabilite, con puntuali note prefettizie, le iniziative da mettere in atto per lenire le loro sofferenze: assistenza sanitaria per gli ammalati da trasportare negli ospedali della provincia con ambulanze presenti nel porto; assistenza logistica con presenza di autobus e autocarri per il trasporto dal porto alla ferrovia o all’Ospedale Acanfora, centro di prima accoglienza e ospitalità; assistenza alimentare con distribuzione all’atto dello sbarco di buoni di £ 120 per il pranzo e la cena (un primo, un secondo, frutta, vino) e di £ 30 per la colazione (latte, caffè, pane). Il Prefetto in persona con il Sindaco e un comitato di accoglienza si sarebbe recato a salutare l’arrivo di profughi e rimpatriati offrendo a donne e bambini caramelle (fornite dalla Sepal) e cioccolatini (messi a disposizione dagli esercizi pubblici di Taranto) e agli uomini sigarette (a carico dell’Assistenza Post Bellica). Una gara di generosità e solidarietà. Questo al momento dell’arrivo … la vita per i profughi che decidevano di stabilirsi nella nostra città, ferita ed economicamente prostrata, si presentava sicuramente molto dura: diverse le richieste avanzate a Sindaco, Prefetto e Ufficio Provinciale di Assistenza per ottenere sussidi, alloggi, assistenza alimentare e in vestiario. Commovente ed esemplare la situazione prospettata dalla signora Paccovi, vedova di guerra di un ufficiale della M.M., che fuggita con uno stratagemma da Pola in seguito a maltrattamenti e minacce iugoslave, arrivò a Taranto il 21 novembre 1946. Giunta in città con i soli panni che indossava al momento della fuga, chiese un sussidio che le permettesse la sopravvivenza. Alloggiata nel centro di raccolta profughi di via Carducci ottenne il libretto di assistenza con la corresponsione di un sussidio mensile di 600 lire. Eguale trattamento sarà riservato ai numerosi altri profughi iugoslavi dall’Ufficio Provinciale di Assistenza Post Bellica. Secondo i dati statistici trasmessi nell’agosto 1950 al Ministero dell’Interno dal Prefetto di Taranto, risultavano affluiti nella nostra Provincia, con provenienza dal territorio Iugoslavo, 1214 immigrati molti dei quali, a seguito del deludente trattato di Pace di Parigi del febbraio 1947, avevano optato per l’acquisizione della cittadinanza italiana. Il trattato non restituiva Trieste all’Italia ma stabiliva la creazione del Territorio Libero di Trieste, una sorta di staterello autonomo dipendente dall’ONU; Udine e Gorizia venivano invece restituiti all’Italia. Dei 1214 profughi iugoslavi affluiti in alcuni dei Comuni della nostra Provincia (Martina, Mottola, Sava, Manduria, Ginosa, Monteparano, Pulsano, Palagiano, Castellaneta, Massafra, Grottaglie) ben 1060 erano presenti a Taranto con evidenti gravi difficoltà abitative. Il 15 novembre 1951 la sezione tarantina del Movimento Istriano Revisionista rivolse un accorato appello al Prefetto di Taranto, Aurelio Gaipa, perché con suo autorevolissimo intervento rendesse possibile l’assegnazione degli alloggi I.N.A. - Casa ai profughi giuliani favorendo così il graduale sfollamento dai locali dei tre Centri di raccolta cittadini, dove molte famiglie continuavano ad alloggiare in spazi ristrettissimi. Il 6 febbraio 1953 il Ministro dei Lavori Pubblici inviò al Prefetto di Taranto il tanto atteso telegramma con il quale si dava notizia della costruzione a Taranto di 40 alloggi per i profughi giuliani per un importo di 50 milioni di lire. Altri 36 alloggi saranno in seguito costruiti in città in zona Tamburi grazie al contributo dell’Opera Nazionale per l’Assistenza Profughi Giuliani e Dalmati di Roma. La casa e il lavoro segneranno la completa integrazione della comunità dalmata con quella tarantina. Restava ancora nel cuore dei profughi e dell’intera Italia il dolore per la situazione di Trieste. Il 5 ottobre 1954, siglato l’accordo, Trieste fu finalmente riconsegnata all’Italia: i bersaglieri italiani entrarono in città il 26 ottobre accolti da una folla eccitata e in delirio. In delirio ed esultanza anche la comunità giuliano dalmata e tutta la popolazione della nostra Provincia. Per salutare l’evento fu organizzata a Taranto un’imponente manifestazione: alle 17,30 del 10 ottobre dal piazzale antistante l’ingresso dell’Arsenale M.M. si snodò per le vie cittadine un nutrito corteo, preceduto dalla banda cittadina con la presenza dei rappresentanti dei partiti politici, associazioni combattentistiche, sportive, dei profughi, scolaresche e un gran numero di cittadini, tra grida di esultanza, sventolii di bandiere e lancio di volantini bianchi inneggianti al ritorno di Trieste alla madrepatria. Seguì, in Piazza della Vittoria, un comizio tenuto dall’on. Di Pietro, Ministro di Grazia e Giustizia; una fiaccolata finale onorò una città e un popolo che avevano tanto sofferto.