Federico II e i soggiorni tarantini al Castello
Federico II e i soggiorni tarantini al Castello
Di Giovangualberto Carducci
Federico II e i soggiorni tarantini al Castello
di Giovangualberto Carducci
edito in "Buonasera Taranto", mercoledì 24 novembre 2021, pag. 17
Il prossimo 30 novembre [2021, NdR] verrà scoperta, all'interno del Castello Aragonese, una lapide marmorea in ricordo di Federico II, che in quel castello ebbe modo di soggiornare e provvedere alla sua difesa. Al solo scopo di gettare un po' di luce su questa pagina di storia tarantina, si vuole qui richiamare l'attenzione sul rapporto che legò l'imperatore svevo Federico II a Taranto. Sotto questo aspetto, magari a costo di deludere aspettative mal riposte, è bene rilevare che la città ionica ebbe un ruolo sostanzialmente marginale nella vicenda storica federiciana. Il discorso, invece, si capovolge se si guarda all'incidenza, sicuramente assai più profonda, che lo "stupor mundi" ebbe nelle coeve vicende storiche di Taranto, incidenza che qui si cercherà di cogliere per un verso attraverso i documenti imperiali con cui furono adottati provvedimenti riguardanti a vario titolo la città bimare, per altro guardando ai soggiorni tarantini dell'imperatore.
Quanto agli atti imperiali, si tratta complessivamente di dieci documenti, il primo dei quali fu emanato a Messina nell'aprile 1210: è il privilegio con cui l'allora sedicenne re di Sicilia, accogliendo la richiesta del presule tarantino Bernardo, confermò a quest'ultimo e alla sua Chiesa tutti i diritti e i privilegi che erano stati loro concessi da Enrico VI e Costanza d'Altavilla, genitori dello stesso sovrano. Sempre a beneficio dell'episcopato tarantino, Federico intervenne in altre tre occasioni: la prima volta da Foggia il 3 ottobre 1231, all'indomani della statalizzazione delle officine tintorie di Taranto che - al pari di molte altre attive produttive del regno - erano state acquisite al monopolio imperiale; tuttavia Federico, per risarcirli dell'espropriazione delle suddette officine stabilì che agli arcivescovi tarantini fossero versate annualmente dieci once d'oro da prelevare dai proventi dell'attività. Oltre quindici anni più tardi, il 31 gennaio 1247, Federico impartì identico ordine a Livardo di Banzi, all'epoca camerario di Terra d'Otranto, perché provvedesse, per la stessa ragione, a versare all'arcivescovo tarantino le 10 once d'oro dovute per l'anno in corso.
Né quella per le tintorie era l'unica prestazione cui la curia sveva era tenuta nei confronti dell'ordinario diocesano di Taranto: quest'ultimo, infatti, riceveva annualmente anche la somma fissa di 2 once d'oro in sostituzione del diritto di decima sugli introiti della gabella gravante sulla macellazione della carne e, quando una volta l'arcivescovo Nicola si lamentò del fatto che il pagamento non era stato effettuato, Federico non esitò a intervenire con una mandato del 1° luglio 1247 per indurre il precitato camerario Livardo a provvedere versamento.
Un altro ente ecclesiastico tarantino che beneficiò dell'intervento dello Staufen fu il monastero benedettino di S. Pietro Imperiale (sito dove oggi sono la chiesa e l'ex convento di S. Domenico), dipendente dal cenobio di Montecassino, infatti, proprio a seguito delle rimostranze dei monaci cassinesi il 30 aprile 1248 da Cremona Federico scrisse al camerario di Terra d'Otranto, ordinandogli di astenersi dalle indebite pretese che egli aveva avanzato sul monastero tarantino dopo la morte dell'abate Stefano.
Se, dunque, i cinque documenti federiciani fin qui esaminati riguardano alcuni enti ecclesiastici cittadini, gli altri cinque diplomi da ricordare attengono, invece, ad aspetti delle istituzioni civili e dell'organizzazione territoriale della città in età sveva. Così con due mandati spediti il 28 gennaio e l'8 febbraio 1240, rispettivamente da Gubbio e da Foligno, Federico II ordinò ad Andrea di Acquaviva, giustiziere di Terra d'Otranto, di sostituire l'ormai vecchio custode della defensa imperiale di Taranto con altro più idoneo funzionario, che nel secondo documento - fu esplicitamente indicato in Bartolomeo de Bessis; la sollecitudine regia nel definire questa pratica si spiega con il rilievo economico delle defensae imperiali dalle quali la curia ricavava non modesti introiti, soprattutto attraverso l'imposizione di gabelle a quanti portavano il loro bestiame al pascolo in tali distretti.
Il successivo 1° marzo, scrivendo da Viterbo alle 47 principali città del Regnum Siciliae, Federico II invitò i tarantini a designare due loro rappresentanti perché partecipassero al parlamento generale del regno, in programma per la successiva domenica delle Palme a Foggia dove essi avrebbero potuto ascoltare la volontà dell'imperatore, per poi diffonderla nella loro città. E all'indomani del parlamento foggiano il 3 maggio 1240 Federico II, nel nominare Ugone maestro portulano per il tratto di costa compreso tra Termoli e Roseto Capo Spulico, non mancò di citare Taranto per includerne il porto fra quelli soggetti alla giurisdizione del nuovo portulano.
L'anno precedente, e precisamente il 5 ottobre 1239, mentre era accampato presso Milano, l'imperatore aveva spedito a Guidone di Vasto, responsabile dei castelli di Terra di Bari e di Terra d'Otranto, un documento da cui risulta che il castello di Taranto apparteneva al ristretto novero dei castra exempta: su di esso cioè Federico esercitava direttamente il suo potere preoccupandosi personalmente di scegliere i castellani e tutto il personale addetto. È questa la riprova che il castello e la piazza tarantina furono tenuti in sicura considerazione dal sovrano svevo, verosimilmente perché essi gli consentivano di controllare meglio la popolazione locale nonché il territorio circostante, naturalmente proiettato verso il mare e, d'altronde, importante raccordo viario tra la Calabria, il Salento e la Puglia settentrionale.
Del castello tarantino in epoca federiciana è fornita dettagliata descrizione in un mandato degli anni 1241-46: la fortezza era costituita almeno dalle quattro torri rivolte verso l'abitato (una era detta di Pilato) e da un barbacane; vi erano tre porte, quella del Cielo, quella di San Benedetto di Cava e quella Magna, sovrastata da un torrione; all'interno del castello c'era la cappella di S. Maria, nonché alcune sale, come quella Magna e quella Principis precedute da un porticato. Tutto lascia pensare che proprio in questo castello abbia soggiornato Federico in occasione delle sue quattro permanenze tarantine, le quali, insieme con la documentazione sopra ricordata, rappresentano il legame più vistoso, ancorché praticamente occasionale, che unì Taranto all'imperatore svevo.
Il primo soggiorno documentato di Federico II a Taranto avvenne nell'aprile 1221 (almeno dal giorno 10 al 24), subito dopo la celebrazione della Dieta di Capua, con cui lo Staufen, all'indomani dell'incoronazione imperiale (novembre 1220), avviò la riorganizzazione istituzionale dello Stato siciliano. Durante la sua permanenza a Taranto l'imperatore emanò ben 10 documenti, 5 dei quali sono in favore dei cavalieri teutonici; gli altri riguardano questioni di area pugliese e lucana, con l'avvertenza che nessuno di essi interessa direttamente il territorio tarantino.
Nell'ottobre 1225. proveniente dalla Calabria, Federico si fermò di nuovo a Taranto, emanandovi pure un documento in favore di un convento tedesco; da Taranto egli raggiunse Brindisi, dove nel successivo novembre si unì in matrimonio con Isabella di Gerusalemme. Altri due privilegi imperiali spediti dalla città ionica provano che dal 27 maggio al 17 giugno 1228 lo Svevo fu nuovamente presente a Taranto: da qui egli raggiunse Brindisi, dove alla fine di giugno s'imbarco per la sua atipica "crociata" in Terra Santa. La quarta permanenza tarantina di Federico è testimoniata da tre documenti imperiali redatti nella città bimare tra il 28 febbraio e il 10 marzo 1231: dopo questo soggiorno lo Svevo si diresse verso Melfi, dove nel corso di quello stesso anno furono approntate le nuove Constitutiones del Regno e - per quanto è oggi noto - non tornò più a Taranto.
In realtà ciò non è propriamente vero, giacché nella città ionica l'imperatore svevo giunse ancora una volta, l'ultima, da defunto: a Taranto, infatti, la sua salma proveniente dalla Capitanata, dove egli era morto il 13 dicembre 1250 - fu imbarcata per essere trasportata in Sicilia. Paradossalmente, proprio per questo episodio il nome della città bimare si trova più frequentemente associato in ambito storiografico a a quello di Federico II. Nulla, comunque, è dato sapere sull'atmosfera cittadina e sulla partecipazione emotiva con cui i tarantini salutarono l'arrivo del corteo funebre. Per cercare una risposta ciascuno potrà ricorrere alla propria immaginazione a partire dal suggestivo racconto del cronista Matteo Spinelli: “A [28 di dicembre 1250] passa lo corpo de lo Imperatore, che lo portaro a Taranto, et eo steo a Bitunto per vedere, et [il feretro] handao in una lettica coperta de velluto carmesino cò la guardia de li Sarracini ad pede, et sei compagnie de cavalli armati, che como intraro per le terre handaro chiangendo a nome lo Imperatore, et de poi venero alcuni baruni vestiti nigri insembre cò li Sindeci de le terre de lo Riame".